Pubblicato il Marzo 15, 2024

La deduzione delle spese di casa nel 730 per i lavoratori dipendenti è quasi sempre impossibile, ma questa non è la fine della storia.

  • Il Fisco italiano non considera le spese per utenze e affitto “inerenti” alla produzione del reddito da lavoro dipendente, a differenza dei professionisti con Partita IVA.
  • La vera leva per il dipendente non è fiscale, ma contrattuale: la chiave è l’accordo individuale di smart working con il datore di lavoro.

Raccomandazione: Invece di cercare sgravi fiscali inesistenti, impara a monitorare i tuoi costi reali (con strumenti come le prese smart) per negoziare un rimborso forfettario equo con la tua azienda.

Lo smart working, un tempo miraggio per molti, è diventato la norma. Con esso, la speranza di un grande risparmio: niente più costi di trasporto, pranzi fuori o caffè al bar. Eppure, a fine mese, molti lavoratori dipendenti si trovano di fronte a una realtà inaspettata: le bollette di luce e gas sono schizzate alle stelle. L’idea di lavorare da casa per risparmiare si scontra con il termostato acceso tutto il giorno e il computer in funzione per otto ore consecutive. Secondo le stime dei fornitori energetici, lo smart working può portare a un aumento del 19% dei consumi annui per una famiglia, un aggravio non da poco.

La domanda sorge spontanea e legittima: “Posso scaricare questi costi extra nella mia dichiarazione dei redditi?”. La ricerca di una voce “deduzione spese smart working” nel modello 730 diventa una caccia al tesoro che, purtroppo, finisce quasi sempre con un nulla di fatto. Questo perché il sistema fiscale italiano traccia una linea netta tra il reddito da lavoro dipendente e quello da lavoro autonomo. Mentre un professionista con Partita IVA può dedurre una parte dei costi “promiscui”, per il dipendente la casa rimane… casa, e le relative spese sono considerate personali.

Ma se la via fiscale è sbarrata, significa che dobbiamo rassegnarci a pagare di tasca nostra? Assolutamente no. La vera partita non si gioca con il Fisco, ma con il datore di lavoro. La chiave di volta risiede nella comprensione del proprio contratto, nella conoscenza dei propri diritti e nell’adozione di una strategia proattiva per la gestione e la documentazione dei costi. Questo articolo non vi darà formule magiche per deduzioni impossibili, ma vi fornirà gli strumenti concreti per affrontare l’impatto economico del lavoro agile, ottimizzare ciò che potete controllare e negoziare con cognizione di causa.

In questa guida analizzeremo nel dettaglio ogni aspetto, dai costi energetici ai buoni pasto, dalle differenze contrattuali agli strumenti per monitorare i consumi. L’obiettivo è trasformarvi da spettatori passivi a gestori attivi delle vostre finanze in regime di smart working.

Perché lavorare da casa non vi fa risparmiare se il riscaldamento è acceso tutto il giorno?

Il primo, e più evidente, costo aggiuntivo dello smart working è legato al comfort termico. Se prima la casa restava vuota e fredda per gran parte della giornata, ora necessita di riscaldamento costante, soprattutto nei mesi invernali. Questo si traduce in un aumento diretto e significativo dei consumi di gas. L’entità di questo aumento dipende fortemente dalla zona climatica in cui si vive, un fattore regolamentato a livello nazionale per limitare gli sprechi energetici. L’Italia è suddivisa in sei zone, da A (la più calda) a F (la più fredda), ognuna con periodi e orari di accensione massimi consentiti.

Comprendere la propria zona climatica è il primo passo per una gestione consapevole. Un lavoratore di Milano (Zona E) avrà costi e permessi ben diversi da uno di Palermo (Zona B). Qui di seguito una tabella riassuntiva basata sulle normative vigenti.

Zone climatiche italiane e ore di riscaldamento consentite
Zona Climatica Gradi-giorno Periodo accensione Ore giornaliere Esempi città
Zona A <600 1 dic – 15 mar 6 ore Lampedusa, Linosa
Zona B 600-900 1 dic – 31 mar 8 ore Palermo, Reggio Calabria
Zona C 901-1400 15 nov – 15 mar 10 ore Napoli, Bari, Cagliari
Zona D 1401-2100 1 nov – 15 apr 12 ore Roma, Firenze, Genova
Zona E 2101-3000 15 ott – 15 apr 14 ore Milano, Torino, Bologna
Zona F >3000 Nessun limite Nessun limite Belluno, Cuneo

Visto che questi costi non sono deducibili, l’unica strategia è la riduzione attiva dei consumi. Non si tratta di soffrire il freddo, ma di adottare accorgimenti intelligenti che possono avere un impatto notevole sulla bolletta. L’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) fornisce regolarmente consigli pratici per ottimizzare l’efficienza energetica domestica.

Piano d’azione per il controllo dei consumi termici

  1. Monitoraggio: Installate un termostato intelligente (smart) per programmare l’accensione e controllare i consumi in tempo reale dal vostro smartphone.
  2. Regolazione: Abbassate la temperatura di un solo grado. Sembra poco, ma può portare a un risparmio fino al 10-15% sui consumi totali. Installate valvole termostatiche su ogni termosifone per regolare la temperatura stanza per stanza.
  3. Isolamento: Inserite pannelli riflettenti tra il muro e i termosifoni per evitare che il calore si disperda all’esterno. Durante il necessario ricambio d’aria, non lasciate le finestre aperte per più di 10-15 minuti.
  4. Manutenzione: Effettuate una manutenzione regolare della caldaia. Un impianto efficiente consuma e inquina meno.
  5. Quantificazione: Tenete traccia delle bollette pre e post smart working. Avere dati concreti è fondamentale se si vuole discutere un eventuale contributo spese con il datore di lavoro.

Come mantenere il diritto ai ticket restaurant anche lavorando dal salotto di casa?

La questione dei buoni pasto in smart working è una delle più dibattute e fonte di maggiore confusione. Molti lavoratori si sono visti sospendere l’erogazione dei ticket non appena hanno iniziato a lavorare da casa, partendo dal presupposto (errato) che fossero legati alla presenza fisica in ufficio. La realtà giuridica è più sfumata e dipende quasi interamente dagli accordi presi a livello individuale o collettivo.

Mano che tiene una carta ticket restaurant elettronica con un computer portatile sfocato sullo sfondo, a rappresentare il lavoro da casa.

Il punto fondamentale, più volte ribadito dalla giurisprudenza, è che il buono pasto non è un elemento della retribuzione, ma una prestazione di natura assistenziale. Non è un diritto automatico legato alla prestazione lavorativa in sé, ma uno strumento per sopperire alla mancanza di un servizio mensa aziendale. La Corte di Cassazione lo ha chiarito in modo inequivocabile.

i buoni pasto non rappresentano un elemento della retribuzione, né un trattamento conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale e, quindi, non dovuto in automatico

– Corte di Cassazione, Ordinanza n. 16135 del luglio 2020

Cosa significa questo per il lavoratore agile? Significa che il diritto a ricevere i ticket dipende da ciò che è stato stabilito nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di riferimento o, più specificamente, nell’accordo individuale di smart working. Se l’accordo prevede l’erogazione dei buoni pasto anche per chi lavora da remoto, il datore di lavoro è tenuto a fornirli. Se l’accordo non dice nulla o li esclude esplicitamente, il lavoratore non può accampare pretese. Una recente sentenza della Cassazione (n. 25840 del 2024) ha ulteriormente confermato che la disciplina dei buoni pasto è rimessa alla contrattazione collettiva, la quale può prevederli come misura per conciliare le esigenze di servizio e la vita privata del lavoratore, anche in assenza del servizio mensa.

Lavoro agile o telelavoro: quale contratto tutela meglio i vostri orari e rimborsi?

Spesso usati come sinonimi, “lavoro agile” (o smart working) e “telelavoro” sono in realtà due modalità contrattuali distinte, con implicazioni molto diverse in termini di flessibilità, obblighi e tutele, specialmente per quanto riguarda i rimborsi spese. Conoscere la differenza è fondamentale per capire quali diritti si possono esercitare. La normativa di riferimento per lo smart working (L. 81/2017) ha introdotto un modello basato su flessibilità e autonomia, molto diverso dal più rigido telelavoro tradizionale (L. 191/1998).

La differenza principale sta nella postazione: il telelavoro prevede una postazione fissa e concordata (solitamente il domicilio), con obblighi più stringenti per il datore di lavoro riguardo la fornitura e la manutenzione degli strumenti tecnologici e il rispetto delle norme di sicurezza. Il lavoro agile, invece, non ha vincoli di luogo e si basa su un accordo tra le parti che definisce le modalità di esecuzione della prestazione, con maggiore flessibilità ma anche, potenzialmente, meno tutele dirette sui costi.

Ecco le differenze chiave che ogni lavoratore dovrebbe conoscere:

  • Postazione di lavoro: Fissa e predefinita nel telelavoro; flessibile e non vincolata a un unico luogo nel lavoro agile.
  • Strumentazione: Nel telelavoro, il datore di lavoro ha obblighi più specifici di fornitura e manutenzione. Nel lavoro agile, gli accordi possono variare, e spesso il lavoratore utilizza strumenti propri.
  • Rimborsi spese: Generalmente più strutturati e previsti nel telelavoro. Nel lavoro agile, dipendono interamente dalla negoziazione dell’accordo individuale. È importante notare che, anche quando un rimborso per spese come la connessione internet viene concesso, esso è considerato tassabile al 100% come reddito di lavoro dipendente, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate.
  • Diritto alla disconnessione: Previsto e tutelato in entrambe le modalità, ma le cui modalità attuative sono definite specificamente negli accordi individuali di lavoro agile.

In sintesi, il telelavoro offre una cornice di tutele più rigida e definita sui costi strumentali, mentre il lavoro agile demanda quasi tutto alla capacità di negoziazione del singolo lavoratore all’interno del proprio accordo individuale. Quest’ultimo documento è il vero fulcro dei vostri diritti e doveri.

L’errore di connessione da luoghi non autorizzati che può costarvi un provvedimento disciplinare

La flessibilità del lavoro agile, magnificata dall’idea di poter “lavorare dalla spiaggia”, nasconde insidie legali e di sicurezza che non vanno sottovalutate. L’accordo individuale di smart working non è una formalità, ma un contratto che definisce luoghi, tempi e modalità della prestazione. Ignorare queste clausole può avere conseguenze serie, incluso il provvedimento disciplinare.

Uno degli errori più comuni è connettersi e lavorare da luoghi non esplicitamente autorizzati. Posso lavorare dalla casa al mare? La risposta è: solo se l’accordo individuale lo prevede o se si è richiesta e ottenuta un’autorizzazione specifica. In caso contrario, ci si espone a rischi: in primo luogo, si viola l’accordo con il datore di lavoro; in secondo luogo, la copertura assicurativa dell’INAIL per gli infortuni potrebbe non essere valida se l’incidente avviene in un luogo non autorizzato. Un altro punto critico è il lavoro dall’estero, che introduce complessità fiscali legate alla residenza e alla doppia imposizione, oltre a possibili lacune nella copertura previdenziale e assicurativa.

Al di là del luogo fisico, è cruciale la sicurezza della connessione. È sicuro usare il Wi-Fi pubblico di un bar o di un hotel? La risposta è un netto no, a meno di non utilizzare una VPN (Virtual Private Network) fornita dall’azienda. Le reti pubbliche sono intrinsecamente insicure e possono esporre i dati aziendali a rischi di intercettazione, in violazione delle normative sulla privacy come il GDPR. Il datore di lavoro ha l’obbligo, secondo il D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro), di fornire al lavoratore un’informativa dettagliata sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alla modalità di lavoro agile, inclusi quelli legati all’uso di strumenti tecnologici.

Lavorare in agilità non significa lavorare senza regole. La libertà concessa deve essere esercitata all’interno del perimetro di sicurezza e legalità definito dall’accordo individuale e dalle normative vigenti. La prudenza e il rispetto delle policy aziendali non sono solo una questione di buonsenso, ma una tutela per il lavoratore stesso.

Quando accendere gli elettrodomestici energivori sfruttando le pause lavorative?

Oltre al riscaldamento e al computer, lo smart working sposta in orario diurno una serie di consumi elettrici prima concentrati la sera o nei weekend. Lavatrice, lavastoviglie, forno: farli funzionare durante il giorno significa utilizzare energia nella fascia oraria più costosa per chi ha un contratto biorario. Questo dettaglio, spesso trascurato, può incidere pesantemente sulla bolletta dell’elettricità.

La maggior parte delle forniture elettriche domestiche offre due tipi di tariffe: monoraria o bioraria (o multioraria). La tariffa monoraria ha un prezzo del kWh costante durante tutto il giorno, mentre la bioraria ha un prezzo più alto in Fascia 1 (F1, tipicamente 8-19 dal lunedì al venerdì) e più basso in Fascia 2 e 3 (F2/F3, sere, weekend e festivi). Per chi lavora da casa, la convenienza di una tariffa rispetto all’altra si inverte completamente.

Confronto tariffe monorarie vs biorarie per smart worker
Tipo contratto F1 (lun-ven 8-19) F2 (lun-ven 7-8, 19-23) F3 (notte e weekend) Convenienza smart worker
Monorario Prezzo unico Prezzo unico Prezzo unico Più conveniente se lavori da casa
Biorario Prezzo alto Prezzo medio Prezzo basso Sconveniente in orario lavorativo

Se avete un contratto biorario, la strategia migliore è sfruttare le pause lavorative in modo intelligente. Ad esempio, programmare l’avvio della lavastoviglie o della lavatrice per le 7 del mattino, prima dell’inizio dell’orario lavorativo, o subito dopo le 19. Durante la pausa pranzo, invece di accendere il forno elettrico, si può optare per un pasto che richieda una cottura più rapida. Una gestione attenta di questi dettagli può portare a un risparmio annuo fino al 30% sulla componente energia.

Il primo passo è verificare il tipo di contratto che avete attivo e analizzare una bolletta recente per capire come sono ripartiti i vostri consumi tra le diverse fasce. Se la maggior parte del consumo avviene in F1, potrebbe essere il momento di valutare il passaggio a una tariffa monoraria. Molti fornitori permettono di fare questo cambio in modo semplice e gratuito. L’ottimizzazione dei consumi elettrici è un’azione concreta e immediata per abbattere i costi dello smart working.

Quando scaricare le spese di affitto e utenze per uso promiscuo se siete professionisti?

Qui arriviamo al cuore della distinzione che genera più confusione: la differenza di trattamento fiscale tra lavoratore dipendente e lavoratore autonomo. Mentre per il primo la deduzione delle spese di casa è, come abbiamo visto, preclusa, per un professionista con Partita IVA in regime ordinario o semplificato il discorso cambia radicalmente. Questo perché il Fisco applica un concetto fondamentale: il principio di inerenza.

Una spesa è “inerente” quando è direttamente collegata all’attività che produce il reddito. Per un professionista che usa parte della sua abitazione come ufficio, i costi di affitto e utenze sono considerati parzialmente inerenti alla sua attività. Per un dipendente, invece, il reddito è prodotto dalla sua prestazione lavorativa e le spese di casa sono considerate personali, non necessarie alla produzione di quel reddito. La legge, in particolare il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), stabilisce chiaramente le regole per i lavoratori autonomi.

Il principio di ‘inerenza’ del costo è cardine del fisco italiano: la spesa di un professionista è ‘inerente’ all’attività produttiva, mentre quella di un dipendente è considerata spesa personale

– Testo Unico delle Imposte sui Redditi, Art. 54 TUIR – Redditi di lavoro autonomo

In caso di uso promiscuo dell’immobile (cioè sia come abitazione privata che come studio), la normativa fiscale permette al professionista di dedurre una parte forfettaria dei costi. Nello specifico, l’articolo 54, comma 3, del TUIR stabilisce che è deducibile al 50% il canone di locazione (o la rendita catastale se l’immobile è di proprietà) e le spese per servizi relativi all’immobile. Per le spese telefoniche, la deducibilità è fissata all’80%. È fondamentale sottolineare che queste agevolazioni sono riservate esclusivamente ai titolari di Partita IVA e non sono in alcun modo applicabili ai lavoratori dipendenti, neanche in regime di smart working.

Questa distinzione, sebbene possa sembrare ingiusta, è un pilastro del nostro sistema fiscale. Capirla a fondo è il primo passo per smettere di inseguire deduzioni impossibili e concentrarsi sulle strategie realmente percorribili per un lavoratore dipendente.

Da ricordare

  • La deduzione delle spese di casa nel 730 è una via quasi sempre impraticabile per i lavoratori dipendenti.
  • La vera leva di tutela economica è l’accordo individuale di smart working: è lì che si definiscono rimborsi e benefit.
  • Monitorare e documentare i costi extra (luce, gas) è l’unica strategia per negoziare un contributo spese equo con il datore di lavoro.

Come usare prese smart per scoprire quale elettrodomestico vi sta alzando la bolletta di nascosto?

Affermare che i costi sono aumentati è un conto, dimostrarlo con dati alla mano è un altro. Per aprire un dialogo costruttivo con il proprio datore di lavoro su un eventuale contributo spese, è fondamentale passare da una percezione a una quantificazione oggettiva. Qui entrano in gioco le prese intelligenti (smart plug) con monitoraggio dei consumi: piccoli dispositivi a basso costo che si interpongono tra la presa a muro e l’elettrodomestico, misurando in tempo reale il consumo energetico.

Usarle è molto semplice: basta collegare il computer, il monitor, la stampante o qualsiasi altro dispositivo utilizzato per lavoro a una di queste prese e, tramite un’app sullo smartphone, si potrà vedere esattamente quanti kWh consuma. Monitorando i dispositivi per una settimana lavorativa, si può ottenere una stima precisa dell’impatto energetico dello smart working, isolandolo dai consumi personali. Questo permette di identificare anche i cosiddetti “vampiri energetici”, apparecchi che consumano anche in standby.

La raccolta di questi dati trasforma una richiesta generica (“le mie bollette sono più alte”) in un’argomentazione basata sui fatti (“il mio setup di lavoro consuma X kWh al mese, con un costo stimato di Y euro”).

Caso pratico: quantificare l’extra-costo del lavoro da casa

Un dipendente, utilizzando una serie di prese smart per una settimana, ha documentato in modo dettagliato i consumi legati alla sua postazione di lavoro (PC, due monitor, lampada da tavolo) e l’aumento dei cicli di riscaldamento. Ha potuto così calcolare un aumento specifico dei consumi energetici direttamente imputabile alle ore di lavoro da casa. Presentando questo report dettagliato al suo responsabile HR, ha potuto argomentare la sua richiesta di un contributo forfettario facendo riferimento al principio di “neutralità dei costi” per il lavoratore, spesso presente negli accordi di smart working più evoluti. L’azienda, di fronte a dati oggettivi, ha acconsentito a un piccolo rimborso mensile, riconoscendo la validità dell’analisi.

Questa strategia proattiva sposta il focus dalla lamentela all’azione. Non si tratta più di subire i costi, ma di gestirli e documentarli per trovare una soluzione equa e condivisa, in linea con lo spirito di collaborazione che dovrebbe animare il lavoro agile.

Come creare un angolo ufficio ergonomico in un soggiorno condiviso senza rovinare l’arredamento?

Lavorare per ore su una sedia da cucina o con il portatile appoggiato sulle ginocchia sul divano non è sostenibile a lungo termine. Una postazione di lavoro non ergonomica può causare dolori a schiena, collo e polsi, incidendo negativamente sulla salute e sulla produttività. Il datore di lavoro ha la responsabilità di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore anche in smart working, come previsto dal D.Lgs. 81/2008, e questo include la promozione di una corretta ergonomia.

Creare un angolo ufficio funzionale in uno spazio domestico, spesso condiviso e con vincoli estetici, non significa necessariamente acquistare costosi mobili da ufficio. La chiave è l’adattabilità e l’uso di soluzioni intelligenti. Il primo investimento da considerare è una sedia ergonomica di buona qualità: è l’elemento che più di ogni altro influisce sul benessere fisico. Molte aziende, consapevoli di questo, offrono contributi o convenzioni per l’acquisto.

Per il resto della postazione, si possono adottare soluzioni discrete e multifunzionali:

  • Altezza del monitor: Il bordo superiore dello schermo dovrebbe essere all’altezza degli occhi. Se usate un portatile, un semplice supporto (o una pila di libri) e una tastiera e mouse esterni fanno una differenza enorme.
  • Illuminazione: Evitate riflessi sullo schermo posizionando la scrivania lateralmente rispetto alla finestra. Una buona lampada da tavolo con luce orientabile è essenziale per non affaticare la vista.
  • Soluzioni salvaspazio: Esistono scrivanie a ribalta, che scompaiono quando non servono, o consolle allungabili che si trasformano in postazioni di lavoro. Anche un separé o una libreria possono essere usati per delimitare visivamente lo spazio di lavoro, aiutando a “staccare” a fine giornata.
  • Ordine: Utilizzate contenitori e organizer per cavi per mantenere la postazione pulita e ordinata. Un ambiente ordinato favorisce la concentrazione.

Investire in una postazione ergonomica non è un lusso, ma una necessità per la propria salute a lungo termine. Un piccolo angolo ben progettato può integrarsi perfettamente nell’arredamento esistente, preservando l’armonia della casa e garantendo al contempo un ambiente di lavoro sano e produttivo.

Ora che avete un quadro completo dei costi, dei vostri diritti e delle strategie pratiche per gestire lo smart working, avete tutti gli strumenti per trasformare questa modalità di lavoro in un’opportunità sostenibile sia per il vostro benessere che per le vostre finanze. Il passo successivo è analizzare la vostra situazione specifica e aprire un dialogo costruttivo e informato con il vostro datore di lavoro.

Scritto da Giulia Ricci, Dottore Commercialista e Revisore Legale con 15 anni di esperienza nella consulenza fiscale per privati e PMI. Esperta in finanza personale, gestione patrimoniale e burocrazia della Pubblica Amministrazione italiana.